LA GRANDE CUCINA

 Nella seconda sezione posta al primo piano è stata ricostruita, attraverso testimonianze originali, una grande cucina contadina con l'ampio focolare, l'angolo della dispensa e della cassapanca per la conservazione di parte del cibo. La cucina può essere considerata senza dubbio il locale dove si svolgeva la maggior parte della vita domestica: oltre ad essere l'ambito privilegiato della donna che stava in casa a far da mangiare, era anche il luogo in cui la famiglia si riuniva al momento della colazione, del pranzo e della cena, e dove tutti sostavano, specialmente durante l'inverno, per riscaldarsi. La cucina era quindi un luogo d'intensa socialità, d'incontro tra le generazioni e di trasmissione di saperi, la cui centralità si rispecchiava anche nello stesso linguaggio dialettale: il termine ca, "casa", si usava infatti sia per indicare l'abitazione in senso lato, sia per riferirsi propriamente all'ambiente più ristretto in cui si preparavano e consumavano i pasti. Attraverso la presenza di oggetti originali viene ricostruito questo ambiente

scopri la cucina di un tempo

La grande cucina (la cüsina) occupava spesso tutto il piano terra. Di solito era molto spaziosa anche se un po’ buia, perché normalmente illuminata da una sola finestra piuttosto piccola e situata in alto. Si entrava in cucina direttamente dalla strada attraverso una porta di legno massiccio che si chiudeva soltanto di notte con un catenaccio (cadenàsc). All’ingresso si collocava un robusto attaccapanni (tacapàgn) per i pastrani degli uomini e gli scialli delle donne

La cucina era illuminata da una lampadina con sopra un paralume di metallo o di tela tesa su un telaietto di ferro. La luce si accendeva e si spegneva avvitando o svitando direttamente la lampadina. Il contatore era semplicemente un limitatore di corrente che poteva sopportare circa 50 watt, così quando si accendevano in casa più di due lampadine, queste cominciavano a lampeggiare come quelle dell’albero di Natale.

Il camino

Nei primi anni del Novecento i cibi si cucinavano prevalentemente sul fuoco del camino: la pentola (pügnata) e il paiolo (culdiröö) per la polenta erano appesi alla catena che pendeva dall’alto. Bisognava conoscere e applicare una tecnica speciale per alzare o abbassare gli anelli della catena, in modo da avvicinare o allontanare il fondo dal fuoco. Le padelle, normalmente di ferro, si appoggiavano invece su una graticola con quattro piedini. Di solito, oltre al camino, nel vano, sotto una finestra, ogni famiglia aveva un fornello fatto di mattoni con sopra tre o quattro ferri per formare una specie di graticola. Nel fornello si accendeva la carbonella e sopra si poneva un treppiedi per appoggiarvi le padelle e cucinare lentamente e a temperature più basse, e la vicinanza alla finestra permetteva la fuoriuscita del poco fumo prodotto dalla combustione della carbonella. Quando non lo si usava, si riponeva il fornello nel vano della finestra che era coperto normalmente da una tendina.

 

Il centro vitale della casa nei primi anni del secolo scorso era il camino, soprattutto durante i lunghi mesi invernali. Si usava il fuoco del camino per preparare la polenta, per far bollire le patate o le castagne (fa bui i patati e i castègn), ma anche per scaldare l’acqua e per fare il bucato (fa la bügada). Inoltre, dal camino si ricavava la brace (brasca) che era utilizzata nel pesante ferro da stiro (la suprèsa) per stirare la biancheria e i vestiti. Dal focolare si ricavava anche la brace che, posta la sera nello scaldaletto (sculdìn), si introduceva tra le lenzuola sotto un arnese per sollevare le coperte chiamato frâ, per rompere il freddo glaciale delle camere da letto. Dove non si metteva lo scaldaletto si usavano le boule (i bul de l’aqua colda) o semplicemente delle bottiglie, sempre con acqua calda, avvolte in un panno. Nel camino c’erano sempre le molle (la muièta) per muovere la legna che ardeva, una paletta con un manico lungo (la badilèta) e un buffetto di ferro o al suo posto un soffietto per attizzare il fuoco quando stava per spegnersi. 

gli arredi

Il tavolo

 Al centro si trovavano un tavolo di legno massiccio, qualche sedia (cadréga), alcuni sgabelli (cadreghìn) e delle panchette di legno che si utilizzavano per far accomodare amici e parenti che passavano a far visita. Le sedie venivano impagliate dal cadregat, che era un ambulante che veniva dalla pianura con un carretto con su paglia. Il tavolo era fatto di ciliegio, o di noce che a volte veniva portato dallo stesso cliente dal falegname.

La credenza 

Appoggiata a una parete vi era una credenza a ripiani (vestê a mür) su cui erano posti una piattaia per i piatti e per gli utensili da cucina e un ripiano coperto con uno sportello rivestito da una retina di metallo (la muschéra o muscaröla) per conservare il formaggio e i salumi e proteggerli dalle immancabili mosche. Nella parte inferiore della credenza, chiusa da antine, si conservavano gli alimenti, e un ripiano era religiosamente riservato all’immancabile fiaschetto del vino. Appesa al muro vi era la peltriera sulla quale trovavano posto le padelle di alluminio e di ferro, le pignatte e lo scolapasta (culìn). 

Le cassapanche 

Lungo un’altra parete era situata una cassapanca (la cassabanca) munita di schienale per sedersi, nella quale a volte si conservavano la farina e il pane. Infine, lungo la terza parete, c’era la cassapanca con la legna per il camino.