IL DIALETTO DI COLICO

Il dialetto è una lingua, cioè un sistema di comunicazione di una comunità con elementi lessicali e forme grammaticali, che ha perduto autonomia e prestigio di fronte ad un altro sistema dominante.


Il dialetto, o meglio la lingua, che nel secolo scorso si parlava sul territorio di Colico è il risultato di una lunga evoluzione della parlata popolare durata molti secoli, se non addirittura millenni. In questo lunghissimo lasso di tempo la lingua parlata (in dialetto non si scriveva) subì notevoli variazioni principalmente a causa delle diverse popolazioni che qui si sono insediate. Certamente l’influenza maggiore proviene dalla dominazione romana e quindi dalla lingua latina.

Le lingue sono un fenomeno vivo: infatti si modificano nel tempo, così come la cultura e la medesima etnia, attraverso successive sovrapposizioni.

Dall’antica lingua di origine celta parlata dai primi abitanti di queste zone si arrivò al latino volgare, cioè parlato dal volgo.

In seguito sul territorio si insediarono altri popoli provenienti dal nord, tra questi i principali furono i Longobardi che lasciarono tracce della loro lingua nel nostro dialetto.

Nel Cinquecento arrivò la dominazione spagnola e poi quella francese e infine quella austriaca e così ogni dominatore ha lasciato termini della sua lingua nel dialetto. In questo periodo nelle città, a cominciare dall’Italia Centrale, già si era avviata e consolidata la trasformazione del volgare nella lingua italiana, prima letteraria e amministrativa e poi anche parlata dalle classi colte. Lentamente tutta la popolazione, per imposizione delle classi dirigenti, cominciò ad usare la lingua italiana, soprattutto dopo l’Unificazione d’Italia. Prima la scuola e, a metà del secolo scorso, la televisione modificarono la lingua familiare rendendola sempre più simile a quella letteraria.

È un errore comune considerare il proprio dialetto come unico e totalmente diverso da quello del paese vicino. Questo modo di pensare è stato ereditato dal glorioso periodo medioevale, quando ogni borgo del lago (come del resto di quasi tutta Italia) era amministrato in forma autonoma ed aveva anche proprie leggi, scritte peraltro in latino volgare. Inoltre in quel periodo la propria identità era sempre difesa nei confronti dei comuni vicini spesso in conflitto. Si pensi alle ostilità tra Colico e la Repubblica delle tre Pievi, con i comuni alleati ora con Como ora con Milano, e anche con i paesi della Valtellina.

In realtà gli studiosi distinguono sul territorio “lombardo” (rinchiuso tra il Mincio e il Garda a oriente, il Sesia a occidente, il Po a meridione e a settentrione le Alpi, compreso le terre del Canton Ticino) solo quattro grandi famiglie di dialetti imparentati fra di loro, ma con caratteristiche peculiari.

Al sud della regione, nel territorio occupato dalle città di Pavia, Cremona e Mantova si parla un dialetto denominato di crocevia. Al nord, nelle zone di Bormio, Poschiavo e dalla valle Levantina fino alla valle d’Ossola prevale il lombardo alpino. Dall’Adda che esce a Lecco fino al Garda, nel territorio bresciano e bergamasco si parla il lombardo orientale. Sulle terre tra l’Adda e il Ticino (e un poco oltre) nei territori delle città di Sondrio, Bellinzona, Varese, Como, Lecco, Novara e Milano si parla il dialetto lombardo occidentale.

Quindi il dialetto del territorio di Colico appartiene alla grande famiglia del lombardo occidentale e, in particolare, al lecchese. Questi territori formavano il Ducato di Milano proprio nel momento in cui il latino era da tempo venuto meno nella parlata popolare e si imponeva lentamente l’italiano come lingua ufficiale e amministrativa. La lingua che si parlava a Milano (il milanese) ha influito enormemente su quella parlata dalle classi alte che erano in rapporto con il capoluogo. A oriente invece si estendeva il Ducato di Venezia che influenzò la lingua parlata a Brescia e a Bergamo.

Inoltre, per comprendere questo fenomeno linguistico, occorre distinguere all’interno del dialetto lombardo occidentale quello parlato nelle città dalle persone scolarizzate e quello letterario che si stabilizza velocemente perché viene scritto, da quello del contado (parlato dai contadini) che rimane quasi esclusivamente una lingua parlata. Queste classi subalterne tendono però ad assorbire la lingua dei dominatori come era già successo più vistosamente con il latino dei Romani. Ancora negli anni 1950 si registra tra la gente del popolo l’abbandono graduale di alcuni termini del vecchio dialetto considerati “spetasciàa” e poco “educati” o “fini” a favore di quelli usati dai signori villeggianti milanesi. Mentre prima si poteva dire tranquillamente: “O majàa un toch de pan con una mota de giambùn”, ora si dirà “O mangiàa un toch de pan con tanto presciüt”. Oppure: “Me soo tra fö del lèc, me soo pecenàa e soo andàa a fala ne la letrina” si dirà “Soo levàa sü dal lèt, me soo petenàa e so andàa al gabinèt”.

Colico si è trovato per un lungo periodo come terra di mezzo, come terra di confine tra il ducato di Milano e la Valtellina e, in un periodo anche con le terre dominate dai Veneziani e questa posizione ha provocato delle contaminazioni del dialetto con quello parlato in queste terre. Questa posizione però ha preservato il dialetto delle contaminazioni dal lombardo orientale come la caduta della -n finale. Così mentre a Lecco si dice càa (cane) a Colico si dice can; si dice fén e non fée (a Villatico si mantiene fée), ben e non bée. Infine Colico è stato un grande territorio di immigrazione sia dalla Valtellina e Valchiavenna sia dalla Valvarrone e da altri paesi della riviera sia orientale che occidentale, in modo particolare da Domaso e da Gravedona e anche questo ha influito molto sulla lingua parlata.

Spesso le differenze dei dialetti parlati nel medesimo territorio colichese, anche tra le diverse frazioni come Villatico, Curcio, Laghetto, Olgiasca dipendono solo dall’accento, dalla cantilena e dall’apertura o meno delle vocali. Nel tempo vi è stata anche la tendenza nelle parole di origine latina a passare dalla u alla o e dalla ü alla u. Per esempio: sempru diventa sempro o sempri; giu diventa gio, bisugn diventa bisogn, düü (due) diventa du. Se si confrontano i dialetti parlati a Laghetto, a Villatico e a Curcio si noteranno le differenze dovute alla vicinanza con i paesi della riviera per Laghetto e della Valtellina per Curcio e Villatico. Lo stesso toponimo di Colico diventa Colech a Laghetto e Colich a Villatico, Viladech a Colico e Viladich a Villatico.

Alcuni elementi del dialetto colichese

Come per tutti i dialetti della grande famiglia del lombardo occidentale, il colichese si caratterizza per i seguenti elementi:
  1. La presenza della vocale turbata ö come in fiöö (bambino, figlio), scöla (scuola), fööch (fuoco), fasöö (fagiolo), cöör (cuore).
  2. La presenza della ü francese: come in scüür (scuro), düür (duro), nesün (nessuno), güz (appuntito, intelligente), cüürt (corto).
  3. La presenza di vocali lunghe e corte: come in tuus (ragazzo) e tus (tosse); caar (caro), car (carro), naas (naso), nas (nascere); mangiàa (mangiato), mangià (mangiare).
  4. La caduta a Villatico delle vocali finali diverse da a: come in cüna (culla), cadrega (sedia), tola (latta) che mantengono la vocale finale, mentre tambur (tamburo, persona ignorante), lèc (letto), lac (latte), can (cane), gat (gatto) la perdono.
  5. La caduta della n nella sillaba finale come nel brianzolo; fèe (fieno) bèe (bene).
  6. La caduta della -l finale come in maa (male), suu (sole), lenzöö (lenzuolo), paia (paglia), canàa (canale), saa (sale)
  7. La sparizione delle consonanti doppie (degeminazione consonantica) così si dice dübi (dubbio), féta (fetta), furchèta (forchetta), giaca (giacca), surèla (sorella).
  8. La caduta del suffisso -er in termini latini terminati in –ariu, come in ferée (fabbro), ginée (gennaio), pulée (pollaio).
  9. Il plurale femminile perde la desinenza e il nome diventa maschile, come la duna al plurale i dun, la züca, i züch; la vaca, i vach; la puma, i pum.
  10. La caduta della r negli infiniti come in balà (balare), giügà (giocare), ciapà (prendere), léec (leggere), durmì (dormire).
  11. La ripetizione fino a tre volte dei pronomi soggetti nella coniugazione: ti te cantet (tu canti), lüü el mangia (egli mangia), ti te see cuntèent (tu sei contento), luur i fan i compit (loro fanno i compiti).

  12. La negazione messa sempre dopo il verbo: incöö voo minga a scöla (oggi non vado a scuola); sta fermu, möves minga (sta fermo, non muoverti)
  13. La desinenza i per la prima persona del presente, come in mi stüdi (io studio), mi curi (io corro), mi dormi (io dormo), mi legi (io leggo).

Norme semplificate per la trascrizione del dialetto colichese.

Le vocali

/a/ come in bastunàda (bastonata) o màrtul (ingenuo, stupido);

/è/ aperta con accento grave, come in adès (adesso) o in sègn (segno);

/é/ chiusa con accento acuto, come in pérséch (pesca) dées (dieci); [quando è chiusa è meglio non mettere l’accento].

/ö/ come in fiöö (bambino, figlio) o in scöla (scuola), simile al suono più aperto di (prendere, sposare) o vöi (vuoto);

/u/ come in sciùur (signore, ricco), spùsa (sposa);

/ü/come in giüstà (aggiustare) o in cüsìna (cucina);

I polisillabi sono accentati solo sulla vocale tonica. Nei monosillabi si evita l'accentazione, salvo che nell'uso della /e/ e della /o/, oppure per distinguere termini fonicamente identici ma di diverso significato: es. à verbo (ieer l’à stüdiaa) da a preposizione come vèm a Milàn (andiamo a Milano), àn (hanno) da an (anno).

L’allungamento della vocale è una fenomeno comune nel nostro dialetto; in questo caso si ripete la vocale come nei participi passati: ò vedüü (ho visto), à mangiaa (ha mangiato), o nei termini laach (lago), pedriöö (imbuto), spelüfìi (spettinato).

L’apertura o la chiusura delle vocali può dipendere dalla pronuncia di località differenti, per cui non ci si preoccupa nel trascriverla. Basti vedere le differenze tra il dialetto di Laghetto, Villatico e Curcio. Anche certe vocali finali possono variare dalla località come sempre, sempru; invernu, inverno ecc.

Le consonanti

I suoni gutturali /ch/ e /gh/ si incontrano ad es. in dach (dargli), o busch (bosco); oppure in gh'éra (c'era), Lèch (Lecco), gnüch (testardo).

Nel dialetto di Colico, oltre al suono /sc/ di sciat (rospo) o di nisciöla (nocciola), troviamo anche /s/ e /c/ distinti come in s’cepà (rompere), mas’c (maschio), s’ciòp (schioppo).

E’ da notare che il raddoppiamento delle consonanti finali, in dialetto, non ha senso e che chi le usa proietta un’abitudine che deriva dall’uso dell’italiano (nel dialetto non si usano le doppie): quindi si scriverà pas (passo), mat (matto), lèc (letto), Léch.