Dalle Coppelle alle Cappelle

L’uomo, fin da quando in epoche primitive ha preso coscienza della sua realtà e della sua storia, ha dato vita ad un fenomeno che poi i Romani hanno chiamato RELIGIONE. Essi hanno osservato che l’uomo in tutte le latitudini e in tutti i tempi ha cercato di LEGARSI o legarsi due volte, con una realtà denominata DIVINO/SACRO. Noi cristiani abbiamo chiamato questo fenomeno, usando un termine politico, ALLEANZA tra l’uomo e Dio, fede in un Dio che diventa uomo per salvarlo. (Natale e Pasqua).
Per questa relazione-legame, l’uomo ha cominciato a rappresentare il Divino e a riservare a lui:
· spazi (altari, templi, cippi, coppelle, cattedrali, statue e dipinti ecc.)
· tempi (giorni festivi, tempi di preghiera, periodi speciali – Avvento, Quaresima, tempo di Natale, ecc.)
· riti sacri (sacrifici su altari, processioni, riti di iniziazione, riti funebri, Cene sacre, ecc.)
· persone sacre (sacerdoti, vestali, guru, ecc.)



Noi cristiani abbiamo mantenuto queste realtà, anzi con il Natale, non solo ricordiamo che noi abbiamo bisogno di Dio e ci LEGHIAMO a Lui, ma in questa festa celebriamo Dio stesso che ha voluto LEGARSI all’umanità con l’INCARNAZIONE.
Per questo, celebriamo il suo NATALE, la sua venuta tra di noi e lo ricordiamo mettendoci in contatto con Lui con l’Eucaristia (Messa di Natale), facendo regali alle persone care (ricordando che Lui si è fatto dono per noi), illuminando le strade e le piazze (indicando che Cristo viene come Luce del Mondo e che Lui è il Vero Sole che i pagani celebravano il 25 di decembre quando inizia il solstizio d’inverno, cioè il sole inizia il suo percorso, rinasce ogni anno), condividendo il cibo con famigliari e magari con i poveri, facendoci gli auguri, ecc.
Questo Natale Cristiano oggi sta gradualmente perdendo i suoi significati, sommerso dall’ideologia del consumismo e, al Figlio di Dio che si dona, si sta sostituendo l’obeso Babbo Natale che porta regali e la proletaria vecchia Befana.
èOra, in occasione del Natale 2022, il Museo Contadino di Colico desidera allestire una mostra fotografica in cui documenta quanto è stato detto sopra, riferendosi al nostro territorio di Colico, cioè come gli abitanti del territorio colichese, dalla loro comparsa fino ai nostri giorni, si sono messi in comunicazione con il Sacro.
I nostri antenati più lontani si sono collegati con la divinità con le coppelle in cui conservavano l’acqua del cielo benedetta (come i nostri avi colichesi la conservavano nelle piccole acquasantiere nella stanza da letto) e l’hanno rappresentata su dei cippi. Purtroppo, una stele incisa in epoca Neolitica, scoperta in zona san Rocco sopra Villatico una quarantina di anni fa, e delle pietre coppellate e documentate da don Songini sono scomparse nel nulla, e quindi nella mostra faremo riferimento alle steli di Teglio.
Poi si passa alle are o altari dedicati a divinità romane scoperti a inizio 900 a Olonio (borgo che sorgeva vicino a Ponte del Passo) che, con l’avvento del cristianesimo, vennero dedicati al Dio cristiano. Ricordiamo che le comunità di Villatico e di Colico dipendevano (furono cristianizzate) da Olonio che costituiva il centro della Pieve. Poi con la distruzione di Olonio a causa delle inondazioni dell’Adda tra 1400 e 1500 e la formazione della palude del Pian di Spagna, la chiesa di Villatico è passata a dipendere da Sorico.
Dalle are pagane di Olonio dei secoli della dominazione romana si arriva al primo tempio cristiano documentato sul territorio: il centro religioso di Santa Giustina a Piona e il priorato Cluniacense con i monaci provenienti da San Pietro in Vallate e dalla Francia. Sul muro settentrionale della chiesa dedicata prima alla Madonna e poi a San Nicola, appaiono le prime santelle rappresentate nel calendario affrescato. Siamo nel 1200 circa.
Da quegli anni in poi, la popolazione cristiana ha continuato a LEGARSI al Sacro rappresentandolo con santelle affrescate sui muri esterni delle case, costruendo delle cappelle a Maria e ai santi invocati come protettori e piantando croci sul territorio e in modo particolare sulla cima del Legnone.
Così si è arrivati nel 2022 al Villaggio di Natale organizzato nel nuovo parco Paride Cariboni, al suono delle cornamuse per le vie del paese, ai presepi costruiti un po’ ovunque e soprattutto alle Messe di Natale.
Nella mostra “Dalle coppelle alle cappelle, tracce del Sacro sul territorio”, si potrà riflettere su questo fenomeno dell’uomo che si lega a Dio e, per il cristiano, di Dio che si lega all’uomo attraverso manufatti fotografati e commentati.
Nella mostra saranno esposti anche due Natività di due pittori colichesi, due o tre presepi. Il presepio è la rappresentazione plastica di come Dio si lega all’uomo, mentre le coppelle, le cappelle, le santelle e le croci sono la rappresentazione di come l’uomo colichese nei millenni ha voluto conservare e rappresentare il Sacro sul suo territorio.
(Roberto Pozzi)

Le “santelle”: gli affreschi religiosi sulle case rurali di Colico

Il museo della Cultura contadina di Colico, avvalendosi di un progetto finanziato dalla Regione Lombardia per l’anno 2010 – 2011, ha voluto promuovere la conoscenza delle testimonianze della religiosità e devozione popolare contadina che si è espressa e, in alcuni casi, tuttora si esprime, attraverso le santelle, cioè affreschi di carattere religioso dipinti sulle facciate di alcune case rurali dall’Ottocento in poi.
In questa ricerca ha coinvolto una classe e alcuni insegnanti del corso turistico dell’Istituto superiore “Marco Polo”.
Attraverso questo studio si proponeva i seguenti obiettivi:

    Valorizzare le espressioni della religiosità popolare nel contesto della cultura contadina, intese come documenti e monumenti di storia locale che costituiscono un richiamo per la riscoperta delle proprie radici.
    Costruire percorsi rivolti alla conoscenza di queste opere considerate a torto espressioni religioso-artistiche minori.
    Tradurre questi percorsi in uno o più prodotti (sito internet, depliant), per la promozione turistica destinati a italiani e stranieri.
    Promuovere il recupero materiale - e prima ancora culturale - delle santelle e delle cappellette.

Le santelle sono le immagini popolari di soggetto religioso dipinto sulle facciate delle case comuni, come segno di devozione o come "grazia ricevuta". Noi le ritroviamo su tutto il territorio colichese, soprattutto nelle zone agricole di Curcio, Villatico, Laghetto e Olgiasca. In queste zone le santelle erano, come in ogni paese, molte di più: in parte però sono andate perdute col crollo di vecchie abitazioni, in parte sono state danneggiate a tal punto che non rimane quasi nulla e in parte sono state ricoperte dall'intonaco delle recenti ristrutturazioni. In alcuni casi, i segni del tempo hanno irrimediabilmente compromesso questa espressione della cultura popolare.

Sul nostro territorio colichese il tipo di santella più diffuso è costituito dagli affreschi sulle facciate delle case, principalmente all’interno di corti condivise da varie famiglie. Frequentemente rappresentano la Madonna accompagnata da uno o più santi da cui il proprietario ha preso il nome al momento del battesimo.

A questo proposito come non ricordare i Lari, le divinità familiari dipinti o rappresentate all’ingresso delle case romane? Le santelle rappresentano quindi una testimonianza della profonda religiosità di un tempo, sono simboli di fede, di speranza o di riconoscenza. Esse sono manufatti fortunatamente ancora sopravvissuti e mantenuti dalle persone.

Certo oramai non c’è più l’ambiente affascinante circostante di un tempo, costituito da campi senza soluzione di continuità, da strade sterrate e da case rurali in pietre e legno con le lolbie, i fienili e le rustiche stalle. Forse è questo essere testimoni di un tempo passato che rende le “santelle” affascinanti ai nostri occhi e ci fanno immaginare scene di vita quotidiana di oltre un secolo fa.

Esse hanno accompagnato uomini e donne nel loro cammino esistenziale, nella loro fatica quotidiana, nei segreti dei loro pensieri, nelle ansie, nei tormenti e nelle gioie della vita personale, familiare e sociale.

Davanti a questi affreschi sono transitate intere generazioni che hanno versato e asciugato lacrime, hanno innalzato suppliche, hanno formulato omaggi e ringraziamenti, hanno mormorato parole sommesse, hanno espresso giuramenti.

I bimbi fissavano queste immagini con i loro occhi ingenui e esprimevano questi sentimenti con bacetti inviati con la punta delle dita. Gli adulti si facevano il segno della croce e si chinavano il capo. Se queste santelle potessero parlare, ci racconterebbero la vita impastata di gioia e di dolore, di speranze e di timore di molte generazioni.

Era una fede profonda che accompagnava, in ogni momento della giornata, il faticoso lavoro dei contadini, dei pastori e dei boscaioli.

Davanti a queste immagini nei mesi caldi la gente della corte si riuniva dopo il lavoro per recitare il rosario. Durante l’inverno, invece, questa preghiera veniva recitata all’interno delle stalle al calore dei bovini.

Come nella vita sociale e familiare si utilizzano le immagini per mantenere presente chi è assente o è passato ad altra vita, in ambito religioso, sia ufficiale che popolare, si rappresenta il divino come ricordo della sua presenza tra gli uomini e come veicolo per raggiungerlo attraverso la preghiera.

Inoltre, le piccole comunità dei mansi e delle corti si identificavano nei loro santi protettori e patroni. In momenti di crisi il santo diventava un punto di riferimento per invocare la pioggia o tener lontano la peste. In questo senso la devozione all’immagine riconosciuta come patrimonio di un gruppo, aiutava a incrementare il capitale sociale di questa comunità umana.

Vi era senz’altro un approccio “interessato” al divino: nelle preghiere prevalevano le richieste di favori materiali come la fecondità degli animali e dei campi, l’allontanamento delle disgrazie come incendi, fulmini, inondazioni e la protezione da malattie o la guarigione da esse.

Ma a chi altri potevano rivolgersi le popolazioni rurali spesso sfruttate dai ricchi terrieri padroni delle terre dove sorgevano le loro case. L’affresco poteva svolgere anche la funzione di ex-voto per una grazia ricevuta da un membro della famiglia. Era il ricordo sicuro che il santo in una determinata circostanza era intervenuto ad aiutare i sui devoti.

Autori e proprietari

Le santelle sono opere dipinte da artisti semplici, dilettanti e artigiani, di frescanti itineranti di umili origini che però hanno coinvolto o hanno interpretato le idee e i pensieri di molte generazioni.
Esse sono quasi tutte di proprietà di chi le affrescate o fatte affrescare. Ogni proprietario si sentiva orgoglioso di essere padrone di questo patrimonio artistico-religioso che spesso veniva tramandato di padre in figlio. Si curava quindi del mantenimento e della ristrutturazione.

Tutte le santelle sono sorte a cura e a spese di famiglie, come espressione pubblica di devozione, a ricordo di eventi lieti o dolorosi che hanno segnato la loro storia privata. Infatti venivano indicate col nome, o soprannome, di famiglia e con l'aggiunta del toponimo.

Materiali e tecniche e valore artistico

Le santelle sono affreschi e più sovente delle tempere realizzate con i poveri materiali a disposizione. Spesso non esiste nemmeno il supporto tecnico indispensabile per l’affresco: un composto di malta, la malta fine e arriccio cioè una malta, piuttosto irregolare e granulosa, fatta di calce e sabbia non ben setacciata, ed ha due scopi: far sì che l'intonaco si aggrappi grazie alla sua consistenza granulosa, ed essere una buona riserva di umidità per lo strato sovrastante. “Il soggetto è reso con tempere su un sottile strato di malta, talvolta direttamente sul sasso o su ciò che la parte dell’edificio presentava già come finitura. L’esecutore utilizza di solito materiali poveri, pochi colori, spesso quelli reperiti sul posto, comunque non costosi” (Riccardo Curti)

Le immagini sono solitamente semplici nella loro organizzazione ed esecuzione e di immediato impatto comunicativo ed emotivo. Alcune presentano una buona fattura iconografica e per questo meritano di essere salvati dallo sgretolamento progressivo delle malte provocato dalle piogge acide di questi ultimi decenni. I santi sono tutti raffigurati secondo il loro proprio canone tradizionale; le leggere varianti sono legate alla diversa abilità professionale dei pittori impiegati. Questi santi costituiscono in ogni caso una parziale o totale trasfigurazione ultraterrena, mediante gli omonimi santi della famiglia offerente. Ogni santo poi nella devozione popolare e nell’arte cristiana è caratterizzato dai suoi simboli canonici che ritroviamo anche nelle nostre santelle. Per esempio gli occhi su un piattino per santa Lucia, protettrice della vista, i seni recisi per sant’Agata protettrice delle madri che allattano, san Giuseppe con il bastone fiorito, protettore dei papà, degli artigiani e in particolare dei falegnami, san Rocco con il mantello di pellegrino e il suo fedele cane protegge dalla peste, Sant’Antonio da Padova con il giglio era invocato in diverse occasioni: donne incinte, orfani, prigionieri, bambini e soprattutto il vegliardo Sant’Antonio Abate con ai piedi l’immancabile porcellino, protettore degli animali.

Oggi, l’attenzione della gente verso le santelle si è alquanto ridotta. La civiltà della macchina ha imposto altre velocità, altri ritmi, e quindi la santella spesso diventa un elemento invisibile nella selva dei messaggi urbani posti lungo le strade.

Per le nostre generazioni, e soprattutto per i giovani d’oggi nati e immersi nel mondo delle immagini sarà molto difficile comprendere il valore unico di queste “immagini” in un mondo senza cinema, televisione, fotografia e pubblicità.

Se invece immaginiamo la realtà di ieri: uomini, donne, bambini che a volte mal nutriti, mal vestiti, mal calzati, arrancavano su strade malagevoli per andare al lavoro nei campi o nei boschi, oppure per recarsi nei paesi vicini a scambiare i prodotti delle reciproche fatiche, allora potremo valutare come per loro fosse indispensabile l'apporto di un supplemento di energia per reggere e proseguire. Ed a chi chiederlo se le persone che potevi incontrare erano forse in condizioni peggiori delle tue?

Arrivavano davanti alla santella, con le sue immagini rassicuranti: una sosta, uno sguardo, una preghiera e a loro tornava la forza, il coraggio di tirare avanti.